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Non più soli nella solitudine (di Youtube)
Non più soli nella solitudine (di Youtube)

Articoli di

LA SPALLA


Una volta si guardavano i video. Ora si guardano video di persone che guardano video. I "reaction video" come risposta a un disperso senso di condivisione?


  02 Maggio 2023 - 22:40




Curioso di rivedere la canzone di Mengoni di Sanremo, che sarà a breve riproposta all’Eurovision Song Contest, mi sono imbattuto in una serie di video su Youtube di persone che mostrano le loro reazioni ai video canori su internet. Funziona così: loro fanno partire il video in un angolo dello schermo e guardano il video con te, mentre una telecamera è orientata su di loro. Puoi così vederli nelle loro reazioni allo stesso video che guardi tu.

Alcuni di loro hanno competenze canore. Fermano il video su precisi momenti, spiegandoti tecnicamente che cosa sta succedendo: ad esempio che c’è una tale nota, o ti spiegano qual è l'esercizio della gola. Alcuni però sono profani. C’è il video di un ragazzo  che guarda per la prima volta Pavarotti, senza averne mai sentito parlare prima. Spiega che gliel'hanno consigliato e allora lo guarda con noi. È talmente impressionato che alla fine si mette a piangere, dicendo che lui non aveva idea che esistesse qualcosa del genere.

Io adoro in particolare quella signora inglese non particolarmente fotogenica, ma con evidenti doti canore e una capacità fuori dal comune di trasmissione immediata delle conoscenze al suo pubblico.  Eccola giudicare In modo molto più accurato il video di Mengoni che non invece un'altra coppia di giovani ragazzi che si mostrano sbalorditi  di fronte ai noti gorgheggi del nostro. 

Guardiamo con un certo piacere questi video degli youtuber. Mi sembrano una reazione piuttosto naturale al modo in cui usiamo Internet. Già tempo addietro ho potuto parlare di questa architettura della post-modernità. La società dello spettacolo, quando c’era l’Opera e in seguito con il cinema, si identificava con la sala in cui sedevano gli spettatori. Il passaggio alla televisione ha comportato il passaggio ad una nuova dimensione architettonica intima dello spettacolo, ora direttamente dentro le case. Il passaggio al cellulare ha costruito una nuova relazione individuale fra lo spettatore e lo spettacolo. In ogni momento della giornata ed in ogni luogo possiamo usufruire di un momento spettacolare, nella più totale solitudine. 

Il momento spettacolare, quindi, da momento di gruppo che era, è sempre di più un momento di percezione individuale. Parafrasando Hans Ulrich Gumbrecht, abbiamo annullato la dimensione orizzontale e verticale dello spettacolo: non abbiamo più le persone di fianco a noi che si alzano in piedi per celebrare gli artisti con un’ovazione quando lo spettacolo riesce. E quindi non siamo “tirati su” da quel gesto. L'individuazione mediatica riduce lo spettacolo al momento di percezione intima, disinteressandosi al momento fisico della condivisione con il resto del pubblico.

Nel fenomeno digitale viene però normale pensare come sarebbe se fossimo assieme ad altri esseri umani nella percezione dello spettacolo. Troviamo così altri internauti che si sbalordiscono come noi. È come se avessimo un istintivo bisogno di essere certificati nel nostro emozionarci. 

La differenza fra la società dello spettacolo e quella del libro è che l'emozione non passa solo dalle parole, che possiamo poi usare per comunicare con altri lettori come noi. Nella società dello spettacolo l’emozione passa attraverso la stimolazione di percezioni fisiche immediate: sono coinvolti anche l’udito e la vista. 

In fondo in fondo, siamo tutti coscienti dell'assuefazione provocata stimolando queste percezioni attraverso il godimento individuale di video in rete. Penso qui in particolare al costante stupore che proviamo guardando TikTok (o youtube shorts), per cui alla fine niente più ci stupisce.  

La realtà del mondo ci passa sotto gli occhi e ci rende completamente indifferenti, ci fa stupire solo perché sentiamo l'abitudine a pensare che stupirsi sia un modo positivo di vivere la vita. In questa miseria di sbalordimenti costanti, stiamo assieme a sconosciuti che si sbalordiscono assieme a noi. O, ancora “meglio”, facciamo confermare il nostro sbalordimento a sconosciuti che si sbalordiscono in punti dei video molto simili ai nostri.

Sarebbe ingiusto dire che questi youtuber lo fanno solo per soldi e che è tutto finto. Guardate le views: talvolta gli va male, talvolta gli va bene. Non possiamo escludere dall’analisi il fatto che loro sono internauti come noi. Ci “ridanno” un senso di condivisione. Soli come noi, vogliosi di far conoscere il loro sbalordimento, condividono la loro percezione con noi.

Rispetto all’analisi di Foucault delle Meninas di Velasquez nel suo “Le parole e le cose”, siamo qui in un nuovo spazio di senso. Non è più solo l’autoreferenza dell’osservatore osservato. Paradossalmente, con i “reaction videos” abbiamo la possibilità di non guardare i video da soli, sebbene stiamo comunque guardando un video da soli. Come una piega di iperspazio, abbiamo inserito un’autoreferenza nella solitudine, per cui possiamo avere un compagno che guarda il video con noi, e poi lo rifa, e poi lo rifa, e poi lo rifa… Eleviamo quella solitudine percettiva pur di soddisfare il bisogno di essere certificati nella nostra percezione. Ora non è più chiaro se ci sbalordiamo per il video che stiamo guardando “assieme” alla youtuber, o ci sbalordiamo per il suo sbalordirsi.

Questa evoluzione è male? È bene? Ancora non so. È conunque un fenomeno non programmato. Ci avevano detto che forse avremmo parlato come Spock da un posto all’altro con una tecnologia senza fili, ma non ci avevano detto che saremmo andati da soli a teatro, persino più volte al giorno, a vedere persone che vanno al teatro, persino più volte al giorno. E, soprattutto, non ci avevano detto che ci sarebbe piaciuto.

 

Filippo Contarini

Curioso di rivedere la canzone di Mengoni di Sanremo, che sarà a breve riproposta all’Eurovision Song Contest, mi sono imbattuto in una serie di video su Youtube di persone che mostrano le loro reazioni ai video canori su internet. Funziona così: loro fanno partire il video in un angolo dello schermo e guardano il video con te, mentre una telecamera è orientata su di loro. Puoi così vederli nelle loro reazioni allo stesso video che guardi tu.

Alcuni di loro hanno competenze canore. Fermano il video su precisi momenti, spiegandoti tecnicamente che cosa sta succedendo: ad esempio che c’è una tale nota, o ti spiegano qual è l'esercizio della gola. Alcuni però sono profani. C’è il video di un ragazzo  che guarda per la prima volta Pavarotti, senza averne mai sentito parlare prima. Spiega che gliel'hanno consigliato e allora lo guarda con noi. È talmente impressionato che alla fine si mette a piangere, dicendo che lui non aveva idea che esistesse qualcosa del genere.

Io adoro in particolare quella signora inglese non particolarmente fotogenica, ma con evidenti doti canore e una capacità fuori dal comune di trasmissione immediata delle conoscenze al suo pubblico.  Eccola giudicare In modo molto più accurato il video di Mengoni che non invece un'altra coppia di giovani ragazzi che si mostrano sbalorditi  di fronte ai noti gorgheggi del nostro. 

Guardiamo con un certo piacere questi video degli youtuber. Mi sembrano una reazione piuttosto naturale al modo in cui usiamo Internet. Già tempo addietro ho potuto parlare di questa architettura della post-modernità. La società dello spettacolo, quando c’era l’Opera e in seguito con il cinema, si identificava con la sala in cui sedevano gli spettatori. Il passaggio alla televisione ha comportato il passaggio ad una nuova dimensione architettonica intima dello spettacolo, ora direttamente dentro le case. Il passaggio al cellulare ha costruito una nuova relazione individuale fra lo spettatore e lo spettacolo. In ogni momento della giornata ed in ogni luogo possiamo usufruire di un momento spettacolare, nella più totale solitudine. 

Il momento spettacolare, quindi, da momento di gruppo che era, è sempre di più un momento di percezione individuale. Parafrasando Hans Ulrich Gumbrecht, abbiamo annullato la dimensione orizzontale e verticale dello spettacolo: non abbiamo più le persone di fianco a noi che si alzano in piedi per celebrare gli artisti con un’ovazione quando lo spettacolo riesce. E quindi non siamo “tirati su” da quel gesto. L'individuazione mediatica riduce lo spettacolo al momento di percezione intima, disinteressandosi al momento fisico della condivisione con il resto del pubblico.

Nel fenomeno digitale viene però normale pensare come sarebbe se fossimo assieme ad altri esseri umani nella percezione dello spettacolo. Troviamo così altri internauti che si sbalordiscono come noi. È come se avessimo un istintivo bisogno di essere certificati nel nostro emozionarci. 

La differenza fra la società dello spettacolo e quella del libro è che l'emozione non passa solo dalle parole, che possiamo poi usare per comunicare con altri lettori come noi. Nella società dello spettacolo l’emozione passa attraverso la stimolazione di percezioni fisiche immediate: sono coinvolti anche l’udito e la vista. 

In fondo in fondo, siamo tutti coscienti dell'assuefazione provocata stimolando queste percezioni attraverso il godimento individuale di video in rete. Penso qui in particolare al costante stupore che proviamo guardando TikTok (o youtube shorts), per cui alla fine niente più ci stupisce.  

La realtà del mondo ci passa sotto gli occhi e ci rende completamente indifferenti, ci fa stupire solo perché sentiamo l'abitudine a pensare che stupirsi sia un modo positivo di vivere la vita. In questa miseria di sbalordimenti costanti, stiamo assieme a sconosciuti che si sbalordiscono assieme a noi. O, ancora “meglio”, facciamo confermare il nostro sbalordimento a sconosciuti che si sbalordiscono in punti dei video molto simili ai nostri.

Sarebbe ingiusto dire che questi youtuber lo fanno solo per soldi e che è tutto finto. Guardate le views: talvolta gli va male, talvolta gli va bene. Non possiamo escludere dall’analisi il fatto che loro sono internauti come noi. Ci “ridanno” un senso di condivisione. Soli come noi, vogliosi di far conoscere il loro sbalordimento, condividono la loro percezione con noi.

Rispetto all’analisi di Foucault delle Meninas di Velasquez nel suo “Le parole e le cose”, siamo qui in un nuovo spazio di senso. Non è più solo l’autoreferenza dell’osservatore osservato. Paradossalmente, con i “reaction videos” abbiamo la possibilità di non guardare i video da soli, sebbene stiamo comunque guardando un video da soli. Come una piega di iperspazio, abbiamo inserito un’autoreferenza nella solitudine, per cui possiamo avere un compagno che guarda il video con noi, e poi lo rifa, e poi lo rifa, e poi lo rifa… Eleviamo quella solitudine percettiva pur di soddisfare il bisogno di essere certificati nella nostra percezione. Ora non è più chiaro se ci sbalordiamo per il video che stiamo guardando “assieme” alla youtuber, o ci sbalordiamo per il suo sbalordirsi.

Questa evoluzione è male? È bene? Ancora non so. È conunque un fenomeno non programmato. Ci avevano detto che forse avremmo parlato come Spock da un posto all’altro con una tecnologia senza fili, ma non ci avevano detto che saremmo andati da soli a teatro, persino più volte al giorno, a vedere persone che vanno al teatro, persino più volte al giorno. E, soprattutto, non ci avevano detto che ci sarebbe piaciuto.

 

Filippo Contarini




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